Nessuno in questa famiglia sospetta mai di essere infelice;
anzi, più infelici siamo, meno lo sospettiamo.
Mio zio se ne va in giro con un rasoio legato a un laccio rosso
intorno al collo, urlando e pestando sulle cose.
Quando è infuriato, e lo è sempre, si accovaccia a terra
e urla finché ha le vene del collo gonfie come condotti di vapore.
Mamma si chiude in bagno con me e con nonna finché non si è sfogato.
Passiamo molto tempo in bagno senza mai sospettare niente.
Non avevano tutti a Cuba Place uno zio nascosto
in una stanzetta accanto alla cucina che urlava in una radio della polizia e scriveva
lettere ai presidenti morti mentre leggeva riviste sexy tutta la notte?
Non vivevano tutti in una casa dove tutti si sentivano fregati,
ignorati, e senza speranza di redenzione?
Philip Schultz
(Traduzione di Paola Splendore, con la collaborazione di Maria Baiocchi, Barbara Fiore e Sandro Triulzi)
da “Vivere nel passato”, in “Il dio della solitudine”, Donzelli Poesia, 2018
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«No one in this family»
No one in this family ever suspects they’re unhappy;
in fact, the less happy we are, the less we suspect it.
Uncle walks around with a straightedge razor tied round
his neck on a red string, screaming and pounding on things.
When he’s angry, and he’s always angry, he drops to a crouch
and screams until the veins in his neck bulge like steam pipes.
Mother locks herself, Grandma, and me in the toilet until he’s flat.
We spend a lot of time in the toilet never suspecting anything.
Didn’t everyone on Cuba Place have an uncle who hides
in a tiny room off the kitchen yelling at a police radio and writing
letters to dead presidents while reading girlie books all night?
Didn’t everyone live in a house where everyone feels cheated,
ignored, and unredeemed?
Philip Schultz
da “Living in the Past”, Harcourt, 2004