
Amani Willett, From Street Work
Oh certo s’intende, capirai,
figurarsi se non amo
l’Italia, questa piccola lingua
di carta collinosa, ignorante e con tane
abitate, un paese di servi perbene,
ma ricordarsi di chiudere gli occhi
sulle amministrazioni cosí affrante
e basta non lo sappiano all’estero
dato che ognuno, è naturale, non lavora
bene e schietto nel tratto che ha scelto
pretendendo d’averci giustizia,
giacché questo sarebbe sufficiente:
la propria vita impiegarla seriamente
senza star tanto a sentire
gli inamovibili al governo
sfiniti dalle cure riabilitanti e depositari
oramai per concessione divina
dei pubblici interessi,
con noi tutti quanti, d’accordo o
per pigrizia, ancora a farli venire-andare.
Pure non voglio rimettermi passivo
alla consapevolezza che pare
non ci sia piú niente da fare
per via del demone atomico, insomma
siamo esseri antichi
e se non c’è piú riguardo
per i nostri fantastici trascorsi,
perlomeno il piacere di possedere gambe
e germogli di labbra, ci spinga
a proseguire ogni mattina nonostante
la sparuta giornata precedente,
al cospetto della vita ancora possibile,
senza programmi, scoppiando
in un certo modo di salute,
perché solo cosí ci andrà bene:
gli occhi nelle vetrine ricolme
e la febbre nell’immaginazione
che tutto è per l’uomo,
questa di vivere unica realtà,
liberi e con idee nella testa
che scottino, tamponi dischiusi
di sassofono e bicchieri
con dentro il sorriso. Non c’è
buio peggiore dell’uomo che inganna
i propri organi, tiroide, cardiovascoli
e, della vita a prenderne dosi
liberamente, la morte è serena
anche se resta importante.
Oppure fra poco perire
umiliati perfino dal mezzo
e le specie si estingueranno
e chi ne saprà piú qualcosa
per esempio della rosa,
il tipo di seme; insomma
bisogna finirla con l’angoscia,
altrimenti la previdenza sociale
e i testi gratuiti alle elementari
son giochi di parole, truffe, falsità,
titoli fittizi di merito
per un inesistente aldilà.
Carlo Villa
da “Siamo esseri antichi”, Einaudi, Torino, 1964