Ore assenti – Mario Benedetti

Brassaï, Le miroir de la salle de bains, 1944

 

Tetro è una parola, cupo e senza forze
sono parole: verifiche indicative di te.
Senti dalla mascella al braccio fino alla mano
il vai e vieni indolenzito e attento che cede
a un campo visivo e poi a un altro:
lo spiazzo, le vetrine, la tenda di un bar,
dove insieme al tavolo rotondo il bicchiere
traslucido forma un’immagine concessa.

∗∗∗

Fotogramma del fratello morto, sbiadito
nello specchio del bagno. Esco a prendere il pane
ti ripeto nel bolo staccato a mezz’aria.
Trema spaventata una parete della stanza.
No non importa quello che si vede, non importa
quello che si dice o quello che si scrive.

∗∗∗

Secche e immobili nella luce sul terrazzo
le montagne appese allo stendipanni, i gualciti
accappatoi rivoltati dal vento ieri notte.

∗∗∗

Perché vedo ancora lapidi da mettere a posto
quando non c’è più nessuno? Le flebo di morfina
erano per la cosa che non sentiva niente. Terra
che ci hai voluto, con le richieste di una casa
e di un affetto, e di comodità, l’ultima domanda
è solo un ostacolo per il continuo affaccendarsi?

∗∗∗

Ritornare nei giorni, mandarli avanti.
Anni fa, adesso, domani. Era così
per te, è così per tutti? Stare nelle ore
per altre ore, nei giorni che ci saranno.
E dire dei morti come se fossero
ancora dei vivi, come è necessario
sorridere quando si è in compagnia.

∗∗∗

Dai del tu ai morti, stai al posto di te, anche.
Ma il viso ghiacciato è sempre qui, il viso
che non parla, che non si muove. E ogni vita
era questo: interezze create continuamente
per un dopo che non ci sarà più o è già stato.

∗∗∗

Lo scalo di Porta Romana

Tra il ferro arrugginito dei vagoni di treni dismessi
la discarica delle parole di poesie che respingono.
Sguardi brevi, arrovellamenti, alberi a caso, afasie.

∗∗∗

Duomo-Pasteur

Sono questo, questa mortalità
che mi assedia, che si concentra
negli occhi, nelle mani. Intorno
sono mute le cose, le facce
che si muovono senza motivo,
e sento dissolvermi tra questo.

∗∗∗

Via Ferrante Aporti

È rimasto affumicato dalle bombe
il muro fino all’Osteria. Macchie
su macchie lisce inosservate senza
nomi, senza fiori. Nessuno lo sa.
Il vecchissimo oste passa e ripassa
e non mi vede, non mi chiede
che cosa ci faccio in piedi lì fuori.

∗∗∗

È un’ora assente. Mi guardi. Si vive ancora, sì, si vive ancora.
Ma non c’è la mano da darti. Guardi gli occhi della malinconia.

Mario Benedetti

da “Tersa morte”, “Lo Specchio” Mondadori, 2013

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